Concorso enogastronomico a Km zero delle Riserve della Biosfera MAB UNESCO italiane
2024 – Quarta edizione
Nella fascia di vegetazione alla base delle montagne – fascia basale – vasti e rigogliosi pascoli si alternano a terreni coltivati a patate, a grano, a segale, a prato, a frutteto, e a estese foreste in cui il pino laricio calabrese, in gergo detto pino silano, trova il suo optimum ecologico e domina incontrastato raggiungendo, nelle zone meno antropizzate, dimensioni maestose come nelle località Fossiata e Cozzo del Principe (CS), Roncino e Acqua delle Donne (CZ), Pollitrea (KR).
Le pinete esistenti traggono la loro origine dalla immensa antica foresta, la Hyle dei Greci e la Silva dei Romani, decantata da Virgilio, Strabone, Dionigi D’Alicarnasso ed altri. Nella parte centrale di questa fascia il pino laricio si trova allo stato puro; al limite inferiore si mescola col cerro, col castagno ed in misura minore con altre querce caducifoglie quali la roverella e la rovere, ed associazioni di latifoglie varie come si ha modo di osservare sul versante destro del fiume Lese.
Verso il limite superiore e nelle zone a maggiore piovosità e quindi a più alta umidità si ha modo di riscontrare uno sporadico grado di mescolanza, meglio una giustapposizione, del pino con il faggio. L’influenza dell’esposizione è quasi sempre determinante, giacché le pendici esposte a Sud risultano occupate dal pino mentre in quelle esposte a Nord vegeta il faggio.
Quando si verifica una coesistenza del pino e del faggio nella giovane età di entrambe le specie, accade poi generalmente che il pino, che ha un accrescimento molto più rapido, superi le piante di faggio e prenda il sopravvento sulle stesse. Vengono così messe in risalto le notevoli differenze di temperamento tra le due specie e generalmente i limiti tra pineta e faggeta risultano abbastanza netti e vengono segnati da burroni, vallecole e fossi vari e spesso da luoghi umidi e freddi in cui il pino è nettamente poco diffuso a vantaggio del faggio e spesso anche dell’ontano napoletano, presente talvolta in formazioni pure di limitata superficie, del pioppo tremulo ed a rarissimi nuclei di abete bianco.
Il pioppo tremulo è da considerarsi specie pioniera con elevate capacità di diffusione nelle zone in cui si sono creati dei vuoti nella pineta a causa di tagli poco razionali o di incendi con conseguente degradazione del suolo.
L’ontano napoletano ha la particolarità di possedere nelle radici delle nodosità dovute alla presenza di un actinomicete, il Bacterium radicicola, grazie al quale può assimilare l’azoto atmosferico arricchendone il suolo; questo suo potere fertilizzante non è sconosciuto ai contadini silani che in passato hanno preferito trasformare a coltura agraria i terreni in precedenza occupati dalla predetta specie.
Lungo i fiumi principali e i vari torrenti si notano estesi filari di ontano nero ed alle altitudini inferiori si riscontrano rare piante, singole od a piccoli gruppi, di berretto da prete o fusaggine, di nocciolo ed alcune piante erbacee rizomatose quali il cavolaccio ed il farfaraccio dalle foglie alquanto ampie, fino a 80-90 cm. di diametro.
Le pinete silane costituiscono delle formazioni naturali monolite dalle quali nell’ambiente climax, cioè di equilibrio relativamente stabile con tutti i fattori biotici e abiotici, è esclusa qualsiasi altra specie arborea; per quanto riguarda le piante arbustive ed erbacee che spesso accompagnano il pino laricio, sembra che non esista un’associazione particolare ma solamente una fortuita convivenza di specie provenienti dalle zone fitoclimatiche superiore ed inferiore.
Nelle pinete fitte, sia per l’eccessiva ombra che per il clima rigido ma principalmente per lo spesso strato di aghi che si accumula sul terreno, il sottobosco risulta assai povero e vi si trovano solo poche piante erbacee tra le quali spesso predomina la felce aquilina che da sempre viene usata dai pastori silani per confezionare mozzarelle e ricotte. Nelle pinete a struttura rada il corteggio floristico aumenta considerevolmente; alla felce aquilina spesso si mescola il litospermo calabro. Tra gli arbusti ricordiamo il salicone, la cui corteccia è appetita dal capriolo durante l’inverno, il melo selvatico, il pero selvatico ed il cocumilio, di grande importanza per l’alimentazione del capriolo, del cinghiale e degli uccelli, il biancospino, la rosa selvatica, endemica nel territorio del Parco, e più di rado il sambuco, l’agrifoglio ed il pungitopo, di enorme utilità per l’abbondante produzione di semi per l’alimentazione degli uccelli, il lampone, il rovo e la fragola, molto apprezzate dall’uomo per i gustosi frutti e dagli animali per le foglie e per gli steli, i citisi e la ginestra dei carbonai; meno diffusa nelle radure erbose o sassose è la ginestra odorosa.
Sul versante ionico orientale si nota anche la presenza del sorbo ciavardello, del carpino bianco e del carpino nero o carpinello. In questa fascia è anche da ricordare la genista anglica, in gergo detta ‘ciciarella’, sempre più invadente; la sua presenza risulta anomala in quanto trattasi di specie a distribuzione atlantica, dalle coste del Portogallo alla Danimarca.
Sono ricercate dalla popolazione l’anice e l’origano abbastanza frequenti negli spazi vuoti. La composizione della flora erbacea nei pascoli e nelle radure boschive rileva una netta prevalenza delle graminacee, pur essendo ben rappresentate le leguminose e le composite; trattasi di pascoli di buona produttività che con l’avanzare dell’estate assumono l’aspetto di ristoppie per la carenza di piogge ed umidità. Si passa dai pascoli più asciutti e magri dove abbonda l’astragalo calabro, ai pascoli più umidi e pingui dove prevalgono la potentilla di Calabria e l’iperico.
Alle altitudini superiori ci si imbatte nella fascia del faggio (foto sopra), pianta che qui è la specie forestale predominante perché ha trovato l’ambiente ecologico più confacente alle proprie esigenze; al limite inferiore confina con le pinete di laricio e spesso con l’ontano napoletano. Solo eccezionalmente, per particolari condizioni ecologiche, il faggio confina con le querce caducifoglie. In vaste zone, tra le quali ricordiamo il complesso boscato del Monte Gariglione e di Macchia dell’Orso nella Sila piccola ed il Vallone Cecita, in Sila Grande, il faggio si trova mescolato con l’abete bianco.
Troviamo l’abete bianco in gruppi più o meno estesi, soprattutto lontano dai crinali e dalle zone battute dai venti. Tale ecotipo di abete sta dimostrando una notevole resistenza alle cosiddette “piogge acide”; è per tale motivo che si hanno costanti e crescenti richieste di seme dall’estero (Germania, Austria, ecc.).
Nelle aree più riparate dai venti si nota un regresso del faggio a favore dell’abete bianco di cui si riscontra una abbondante rinnovazione naturale.
Nelle foreste del Gariglione si ha modo di ammirare alcuni plurisecolari e maestosi esemplari di abete bianco e di faggio, monumenti viventi, residui della giungla vergine o “Urwald”, mai sfiorata da mano umana, ancora esistente all’inizio di questo secolo e descritta con grande ammirazione da Norman Douglas nel suo libro “Vecchia Calabria”.
Tra le altre specie arboree ed arbustive presenti, che si riscontrano come individui singoli o a piccoli gruppi, ricordiamo il pioppo tremulo, il tiglio, l’acero napoletano, l’acero di lobel, l’acero montano, il salicone, l’agrifoglio, il ciliegio selvatico, il prugno cocumilio, il melo selvatico, il pungitopo, la sempreverde daphne laureola ed il mezereo, a foglie caduche e con bacche mortali – se ingerite; diffusa è la belladonna con bacche simili alle ciliegie, ma mortali se ingoiate, un tempo raccolte per estrarne l’atropina, un alcaloide con proprietà medicinali; rare diventano la rosa selvatica ed il biancospino.
Nel Vallone Cecita (CS) e sul Gariglione (CZ), sotto le ombrose faggete vive, su radici putrescenti, l’orchidea a nido d’uccello, pianta saprofita, che, essendo priva di clorofilla, non ha foglie verdi ed i cui fiori si fanno strada attraverso gli spessi strati di foglie in luglio-agosto.
Negli estesi e lussureggianti pascoli si ha predominanza delle graminacee sulle leguminose e sulle composite; diventano più frequenti i pascoli a potentilla e nelle zone acquitrinose si inizia un processo di torbificazione che termina con la formazione di nardo-cariceti con il nardo, la tormentilla e la luzula di Calabria.
In queste zone ad elevata umidità è facile notare gli sfagni, muschi acquatici di ambienti ad elevata acidità che hanno la capacità di assorbire più volte il loro peso in acqua, la splendida felce maschio, la viola palustre, la soldanella e la bistorta; nelle radure antropizzate e prive di ristagno di acqua si ha invece modo di riscontrare vasti insediamenti di asfodelo o porracchio, di asfodelina e, a volte, di rovo.
Nel Parco tutte le attività previste per la conservazione del bosco e la gestione delle risorse forestali devono attuare interventi che non modifichino il paesaggio e le caratteristiche fondamentali dell’ecosistema.
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