Nel territorio del Parco la raccolta dei funghi è consentita solo se in possesso di apposito tesserino, come disciplinato dalla normativa regionale, L.R. 26 novembre 2001, n° 30 “Norme per la regolamentazione della raccolta e commercializzazione dei funghi spontanei epigei freschi e conservati”. Ciò allo scopo di applicare con raziocinio metodi di gestione confacenti all’ecosviluppo del territorio, tendendo alla realizzazione dell’integrazione tra uomo e ambiente anche mediante il mantenimento e lo sviluppo delle attività agro-pastorali tradizionali da sempre praticate nell’area del Parco.
Tra i funghi commestibili più diffusi nel Parco, conosciuti e ricercati dalle popolazioni locali, ricordiamo il lattaio delizioso, in gergo detto “rosito” (Lactarius deliciosus), che è molto diffuso nelle giovani pinete di laricio ma anche nelle abetine, il boleto o porcino (Boletus edulis) molto apprezzato e che cresce in simbiosi sia con alberi di latifoglie che di aghifoglie. Diffuso è anche il porcinello rosso (Leccinum aurantiacum) che vive in stretto rapporto di simbiosi col pioppo tremulo e ha grossi corpi fruttiferi che cambiano di colore al taglio. Comunissimo nelle pinete, in gruppi abbastanza numerosi, è anche il boleto luteo localmente chiamato “vavuso” (Suillus luteus e Suillus granulatus).
Molto conosciute e ricercate sono le mazze di tamburo (Macrolepiota procera), i galletti (Cantharellus cibarius), le spugnole dette “trippicedde” (Morchella rotunda) – da consumare solo una volta cotte in quanto contenenti acido elvellico che si disattiva solo con temperature superiori agli 80° – e da non confondere con la falsa spugnola (Gyromitra esculenta) che nonostante il nome “esculenta” è dannosa poiché contiene la giromitrina, sostanza che provoca accumulo nell’organismo anche a distanza di parecchi anni, causando danni irreversibili a fegato e reni e quindi la morte. Comuni sono anche le vescie (nome comune che raccoglie sotto un unico ombrello Bovista plumbea, Calvatia utriformis, Lycoperdon pyriforme e Lycoperdon saccatum) che vengono raccolte solo da giovani quando la carne è bianca e compatta.
Molto ricercato ma non molto diffuso è l’ovulo buono (Amanita caesarea), mentre conosciute e raccolte solo da alcune comunità sono il prataiolo (Agaricus campestris), il chiodino o famigliola buona (Armillaria mellea), le colombine (vari rappresentanti della famiglia della Russola, che conta però anche membri non commestibili) e il coprino chiomato o fungo dell’inchiostro (Coprinus comatus), che viene raccolto solo da giovane prima che le lamelle divengano nere e deliquescenti.
Molto di rado si incontrano pure le laccarie violette (Laccaria amethystina), commestibili anche se la loro particolare colorazione fa pensare a funghi poco raccomandabili. Alquanto apprezzate dai conoscitori sono altresì la lingua di bue (Fistulina epatica) ed i polipori che in loco vengono dette “nasche” (Grifola frondosa), che vivono sui tronchi di conifere e latifoglie causando la carie bruna del legno e sono commestibili solo da giovani quando la carne è tenera, gustosa e non lignificata; molto diffuso è il peveraccio pepato (Lactarius piperatus), scarsamente ricercato a causa del sapore molto acre e dell’eccessivo tempo di cottura. Presenti sono le appariscenti ditole dette anche “funghi corallo”, appartenenti al genere Ramaria, quali la dorata e la flava, tutte e due commestibili al contrario della pallida (Ramaria formosa), con tronco bianco e ramificazioni giallo grigiastre, perché tossica.
Da evitare assolutamente sono pure la velenosa colombina rossa (Russula emetica) e l’ovulo malefico (Amanita muscaria), nonché le mortali tignose verdastre (Amanita phalloides) e tignose bianche (Amanita verna).
Il cercatore di professione, in gergo detto “fungaio”, è da sempre geloso difensore degli ambienti naturali in cui i funghi prolificano ed è consapevole che anche i funghi indigesti e velenosi rivestono una qualificata funzione nella fitocenosi. È necessario che anche i cercatori occasionali, meno competenti ed esperti, si adeguino al rispetto ed alla conservazione degli ambienti silani ed in particolare dell’area del Parco, territorio soggetto a peculiare tutela anche per le singolari associazioni vegetali che su di esso insistono.
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